Di Natale, 200 e non sentirli

Non ha avuto pietà, Ivan Radovanovic, quando ha esploso quel destro imprendibile per Karnezis, al minuto 74 di Udinese-Chievo. Ma poco importerà anche allo stesso Stramaccioni che il risultato finale sia di 1-1 per la sua Udinese. Perché la sfida di domenica contro il Chievo viene consegnata alla Storia del calcio italiano. Così come, alla Storia del nostro campionato, viene consegnato Totò Di Natale. Quello alla formazione clivense è stato, infatti, il duecentesimo gol in 400 partite. Una media spaventosamente perfetta. Per farla breve, dal giorno del suo esordio in serie A, ogni due partite disputate, Totò l’ha messa dentro. Mai banali le sue marcature, come mai banali sono state le sue scelte. A partire da quando rifiutò il trasferimento alla Juventus. Forse se lo sentiva. Forse lo sapeva. Sapeva che Udine per lui e la sua famiglia sarebbe stata come una sorta di Isola che non c’è. Un posto perfetto in cui essere protagonista. In cui poter scrivere la sua storia e la Storia, quella con la lettera maiuscola. Cominciata con la maglia dell’Empoli. Nel 2002. Quando Silvio Baldini lo fece esordire nella massima serie. Era il 14 settembre 2002. La partita, Como-Empoli. Ci vollero 59 minuti perché tutto cominciasse. Perché il giovane Totò mettesse la prima pietra. Siglasse il primo gol. Il resto è Storia. Di un predestinato che tale non si è sentito mai. E forse la sua forza è stata ed è proprio questa. E’ uno normale Totò. Gioca a calcio, sta in famiglia. Si diverte. E lo trasmette a tutti. Avversari, che lo rispettano, e compagni, che lo seguirebbero ovunque. Perché lui è il capitano. Perché lui è rimasto lì. A Udine. Una città che lo ha adottato. Rifiutando piazze importanti come, oltre quella juventina, Firenze e persino il ritorno nella sua Napoli. Città di nascita cui, però, ha preferito, appunto, quella di adozione. Scelte di vita di chi è grande anche nella sua normalità. Il gol al Chievo, il numero 200 in 400 partite in serie A, è il giusto premio per chi, a 37 primavere, ogni tanto minaccia di smettere. Ma non può. Sa di non potere e non dovere. Perché Di Natale è qualcosa in più di un calciatore, un attaccante, un bomber. E’ il simbolo di questo sport. Di quanto lo si possa vivere come a tutti i ragazzini che gli si accostano andrebbe insegnato. “Non so se continuo”. Lo ha detto ancora. Lo dice da un po’. Lo dicono le sue gambe, la sua testa. Ma il cuore continua ad andare avanti. E qualora non dovesse bastare, le attestazioni di stima che gli vengono tributate daranno la spinta necessaria. Non smettere Totò. Non smettere ancora. Sarebbe davvero bello se non smettessi mai.