Mycobacterium chimaera: cos’è il batterio killer che ha colpito il Veneto

Ulcera Buruli

Sei morti in Veneto e altri due casi sono stati diagnosticati in Emilia-Romagna. Complessivamente risultano 18 le persone infettate per un batterio in sala operatoria. Parliamo del Mycobacterium chimaera identificato per la prima volta nel 2004. A riportare la notizia è Il Corriere della sera. Il batterio è diffuso soprattutto in natura nell’acqua potabile e generalmente non è pericoloso per la salute umana.

Mycobacterium chimaera: l’origine della vicenda

I pazienti infettati dal batterio risultano tutti reduci da un intervento cardiochirurgico, nel corso del quale sono entrati a contatto con le apparecchiature medicali contaminate. In effetti il Mycobacterium chimaera può diffondersi attraverso i dispositivi medicali inquinati e rappresenta una minaccia soprattutto per i pazienti sottoposti a operazioni chiurgiche complesse e invasive, ad esempio quelle cardiochirurgiche.

Ad accendere i riflettori sulla vicenda è stato Paolo Demo, l’anestesista vicentino deceduto il 2 novembre scorso. L’uomo ha contratto l’infezione due anni fa. Successivamente ha raccontato in un diario il decorso della malattia. Alla morte dell’uomo, l’avvocato della famiglia ha presentato un esposto alla Procura di Vicenza.

Micobacterium chimaera: le cose da sapere

Marco Confalonieri, direttore della struttura complessa di pneumologia dell’Ospedale Universitario di Trieste, spiega che il rischio nasce nel caso di infezioni contratte in ospedale:

“Il batterio si può trasmettere attraverso dispositivi medicali inquinati e se contratto da pazienti fragili, sottoposti a interventi molto invasivi come quelli cardiochirurgici, può essere micidiale”.

Inoltre questo micobatterio può dare segnali mesi e persino anni dopo la contaminazione. In questo senso Confalonieri spiega che:

“I sintomi insorgono gradualmente, con febbre, tosse che diventa cronica e peggiora, stanchezza, sudorazione notturna e dimagramento: tutti segnali che si fanno più consistenti col tempo”.

L’infezione si diagnostica tramite un test molecolare specifico. Tuttavia trattandosi di una infezione molto rara, non è semplice individuarla in tempo utile. Riguardo alla terapia, si utilizza un mix di antibiotici da assumere per lunghi periodi di tempo. Tuttavia non sempre si riesce ad eradicare l’infezione, che presenta un tasso di mortalità del 50%.

Il Ministero della Salute, già alcuni mesi fa, nell’ambito del Piano Nazionale di contrasto dell’antibiotico-resistenza (PNCAR) 2017-2019, ha dato avvio a un’attività di valutazione del rischio per il nostro Paese allo scopo di emanare raccomandazioni specifiche.