Alzheimer: promettenti risultati dalla sperimentazione di un vaccino

Tumori nuove cure

Il vaccino può risultare utile non soltanto al fine di prevenire le malattie infettive. Questa è la sua origine, ma negli ultimi anni si è visto che può essere impiegato anche per il trattamento di altre malattie. Un nuovo approccio ad esempio prevede il loro utilizzo nella cura dei tumori, che si ottiene potenziando il sistema immunitario. In particolare i ricercatori della University of Texas (Ut) Soutwestern Medical Center, hanno sperimentato un vaccino contro l’Alzheimer.

Alzheimer: i risultati del vaccino

il vaccino sperimentato sui topi ha prodotto una riduzione della proteina beta-amiloide che si ritiene essere causa della malattia fino al 40% e una diminuzione dal 25 al 50% della proteina tau. Entrambe concorrono a far progredire questa malattia neurodegenerativa. L’efficacia del vaccino nel contrastare la proteina beta amiloide è stata studiata in due gruppi di 15 e 24 cavie.

Il vaccino era già stato sperimentato dal ricercatore Rosenberg con risultati positivi su scimmie e conigli. Anche lo studio attuale ne ha confermato l’efficacia. In particolare il vaccino ha prodotto una riduzione del 40% della proteina beta amiloide nel cervello e del 25 al 50% della proteina tau. Il vaccino ha indotto la formazione di anticorpi che hanno ridotto l’accumulo della proteina beta amiloide e per conseguenza diretta anche della tau.

Novità riguardano anche le modalità di somministrazione del vaccino, che viene iniettato nelle cellule della pelle anziché tramite iniezione intramuscolare. Tirando le somme sui risultati di questa ricerca, il dottor Rosenberg spiega che:

“Questo studio è il culmine di un decennio di ricerca che ha ripetutamente dimostrato che questo vaccino può colpire in modo efficace e sicuro nei modelli animali ciò che pensiamo possa causare la malattia di Alzheimer. Credo che ci stiamo avvicinando a testare questa terapia nelle persone”.

Inoltre va tenuto presente che l’accumulo delle proteine tossiche potrebbe limitare l’efficacia del vaccino, per cui il ricercatore ritiene che lo strumento vaccinale possa avere un effetto preventivo piuttosto che curativo, quando la malattia è già presente.