Mal di testa, scoperto nuovo rimedio: ecco quale

Emicrania

Le persone che soffrono di emicrania potrebbero trarre giovamento dal dimagrire. E’ quanto emerge da uno studio condotto da Claudio Pagano, endocrinologo e professore associato di medicina interna all’Università di Padova. La ricerca è stata presentata a New Orleans nel corso di Endo 2019, meeting annuale della Società americana di endocrinologia.

In particolare l’esperto ha spiegato che: “Il calo di peso, nelle persone che soffrono di emicrania, migliora la vita sociale e familiare e la produttività al lavoro e a scuola”.

Pagano ha passato in rassegna la letteratura medica degli ultimi due decenni. In particolare ha tenuto conto della frequenza, intensità durata degli attacchi e grado di disabilità. Inoltre ha considerato anche il peso iniziale e della sua variazione nel corso delle ricerche e degli interventi di tipo chirurgico o nutrizionale.

Emicrania e dimagrimento: i risultati dello studio

Complessivamente sono stati analizzati i risultati di 10 studi relativi a un totale di 473 pazienti. Nei pazienti si è osservato una significativa di diminuzione delle manifestazioni della cefalea in rapporto alla frequenza, intensità durata degli attacchi e grado di disabilità.

Questi miglioramenti tuttavia non sembra che siano in relazione col grado di obesità al principio dello studio nè con i chili persi. I miglioramenti dell’emicrania infatti si sono ravvisati indipendentemente, sia che i pazienti perdessero molti chili sia che ne perdessero pochi. Ciò indicherebbe che assumere meno calorie di quelle che se ne consumano, ha più valore del peso assoluto raggiunto dai pazienti.

Miglioramenti simili dell’emicrania si sono ravvisati anche nei pazienti che avevano perso peso dopo una operazione di chirurgica bariatrica o adottando uno stile alimentare più salutare. Benefici simili si sono evidenziati sia nel caso degli adulti che nei bambini.

Secondo gli autori, l’obesità può venire influenzata da una pluralità di fattori che operano in maniera sinergica. Pertanto bisogna considerare non solo l’infiammazione cronica e le citochine rilasciate dal tessuto adiposo e le comorbilità, ma anche gli aspetti comportamentali e psicologici.