Il rastrellamento del ghetto di Roma, 71 anni fa…

Sono trascorsi 71 anni dal rastrellamento del ghetto di Roma. 71 anni da quel giorno in cui la furia omicida dei lager nazisti portò via altre vite, altri respiri, altri sorrisi innocenti.

Era il 14 ottobre 1943 quando 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine quasi tutti appartenenti alla comunità ebraica, furono catturati e deportati nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia. Il rastrellamento fu effettuato dalle truppe naziste tra le 5.30 e  14.00 di quel sabato, in Via del Portico d’Ottavia e nelle strade adiacenti ed anche in altre zone della città di Roma.

In seguito al rilascio di un certo numero di componenti, appartenenti a famiglie di sangue misto o straniere, 1023 deportati furono condotti in quello che viene ricordato come uno dei peggiori campi di sterminio nazista. Soltanto 16, tra quegli esseri umani, sopravvissero al campo di concentramento (15 uomini e una donna,  Settimia Spizzichino morta nel 2000).

All’indomani dell’occupazione tedesca a Roma, il 10 settembre 1943, Herbert Kappler, tenente colonnello delle SS, comandante dell’SD e della Gestapo a Roma, ricevette un messaggio da Heinrich Himmler, ministro dell’interno, comandante delle forze di sicurezza della Germania nazista e teorico della soluzione finale della questione ebraica:

“I recenti avvenimenti italiani impongono una immediata soluzione del problema ebraico nei territori recentemente occupati dalle forze armate del Reich”.

Il 24 settembre successivo, Himmler inviò un ulteriore messaggio in un telegramma segreto e strettamente riservato per il colonnello Kappler:

“Tutti gli ebrei, senza distinzione di nazionalità, età, sesso e condizione, dovranno essere trasferiti in Germania ed ivi liquidati. Il successo dell’impresa dovrà essere assicurato mediante azione di sorpresa”.

Il 14 ottobre, Kappler ordinò il saccheggio delle due biblioteche della Comunità ebraica e del Collegio rabbinico e fece caricare due vagoni ferroviari diretti in Germania con materiale di inestimabile valore culturale. Gli agenti di Kappler portarono via anche gli elenchi completi dei nomi e degli indirizzi degli ebrei romani.

Lo stesso giorno, il tenente colonnello delle SS, inviò una lettera al comandante del campo di sterminio di Auschwitz, Hoess, dicendogli che avrebbe ricevuto intorno al 22-23 ottobre un carico di oltre 1000 ebrei italiani e di prepararsi al concedergli il “trattamento speciale”.

Sono trascorsi 71 anni da quel giorno, da quel momento di dolore, da quella ferita che non potrà mai sanarsi, rimarginarsi.

Ancora oggi, nel ventunesimo secolo, atti di violenza razzista, restano all’ordine del giorno. Uomini, donne e bambini, nessuna distinzione di sesso o di età, milioni di essere umani portati via con la sola colpa di non essere parte di quella razza, considerata e ritenuta dal  Führer, l’unica a dover sopravvivere su questo nostro mondo: la razza ariana.

Un mondo che si è lasciato travolgere, un mondo che non ha difeso i suoi figli, un mondo che non smetterà mai di ricordare quel giorno, quegli anni, lo sterminio nazista.

Milioni di ebrei morirono nei campi di concentramento, chi è sopravvissuto a quell’orrore, ne porta ancora il segno, marchiato sulla propria pelle. Sei numeri, per essere riconosciuti. Non più nomi, volti, solo numeri.

Il numero complessivo dei deportati di religione ebraica nel periodo dell’occupazione tedesca di Roma fu di 2.091 (1067 uomini; 743 donne; 281 bambini); di essi, sono tornati 73 uomini, 28 donne, nessun bambino.

Ancora un momento, ancora un pensiero che vale la pena essere ricordato. Allo sbarco negli Stati Uniti, Einstein, come tutti gli emigrati, ricevette un modulo da compilare. Fra le molte domande cui bisognava rispondere ce n’era una che domandava: “Razza di appartenenza?” E lui scrisse: “Umana”.