Oggi il quotidiano “Libero” ha pubblicato una lista di sessanta sospetti terroristi che risiedono in Italia. Sessanta nomi tratti da una “lista nera” diffusa dal governo americano il 16 gennaio scorso. Sessanta motivi per cui la nostra libertà è in pericolo.

Libero ha pubblicato la lista non solo dei nomi dei sospettati, ma anche dei relativi indirizzi di residenza. Tutto in conformità con l’intento dichiarato da Washington, ovvero quello di “fermare qualunque genere di finanziamento” a questi loschi figuri.

Insomma, un’agenda molto utile. Ma per chi?

Non certo per i cittadini, poiché indubbiamente non ci si sente tranquilli nel sapere che ad un paio di isolati di distanza vive qualcuno sospettato di far parte di un gruppo terroristico. Forse utile alle forze di polizia che possono affidarsi all’occhio vigile di quei civili che nel cuore della notte telefonano in centrale per segnalare movimenti sospetti. Oppure utile al nostro governo, che può sperare di aver dissuaso alcuni nomi di questo elenco, ora che sono consapevoli di essere tenuti sotto controllo. Eppure ogni eventualità si presenta come una particolare sfumatura di una generale declinazione di responsabilità; una preghiera o una richiesta, ma non un monito (per quello non basta una pagina di giornale, ci vogliono mandati di perquisizione e di arresto). Vero: la pubblicazione di quella pagina di Libero non è stata condizionata da nessuno. Ma la trasparenza (o la sua illusione) generata dalla lista di oggi è inconfutabile: tutto a cielo aperto, nessun segreto. Salvo poi condannare Wikileaks, ovviamente.privacy

Ciò che non può non sconvolgere è la leggerezza di molte reazioni, tutte entusiasmo o intrise d’indifferenza. Qualche nota d’indignazione illuminata, ma poca cosa.

Eppure questi sessanta nomi rappresentano altrettante ragioni per iniziare a temere non solo per il nostro diritto alla privacy, bensì per quel nuovo terrorismo mediatico che ha fatto della libertà individuale il proprio obiettivo. Nomi e indirizzi diffusi senza autorizzazione: è legale? La domanda è difficile da formulare, di fronte ad una notizia del genere. La reazione immediata è un misto di paura (perché i terroristi ci sono e sono vicini) e soddisfazione (perché si apprende la loro identità). Ma le prove? Le intercettazioni? I fatti, insomma, gli elementi che li hanno inseriti nella lista dei sospettati? Non ci si fa queste domande, perché non c’è tempo ed il pericolo giustifica il ricorso a qualunque mezzo.

Ma possiamo accantonare così quella stessa libertà che nella lotta contro il terrorismo i governi occidentali si propongono di difendere?

Comincia sempre con una “lista nera”, una caccia alle streghe (Washington dovrebbe ricordarlo). Ma si sa che gli USA “so’ de coccio”.