Rosaria Costa Schifani è passata alla storia nel 1992. Ben 28 anni fa, sull’altare, si rivolse ai mafiosi esternando la sua intenzione di perdonarli, a patto che questi si mettessero in ginocchio ed avessero il coraggio di cambiare. Un perdono sincero in cambio del pentimento dei malavitosi.
Questo commovente, episodio avvenne presso la cattedrale di Palermo mentre si celebravano i funerali di Vito Schifani, marito di Rosaria. Vito, morto a soli 27 anni, faceva parte del team di agenti di scorta del giudice Giovanni Falcone, formata da 8 agenti di polizia e 3 auto blindate. Il marito di Rosaria perse la vita nel corso della famigerata strage di Capaci del 23 maggio 1992. Il 27enne saltò in aria su una montagna di tritolo.
La strage di Capaci è una delle pagine più tragiche ed oscure della storia dell’Italia contemporanea. Durante l’attentato mafioso persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della sua scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Sull’altare durante il funerale del marito, Rosaria Costa Schifani si rivolse ai boss di Cosa Nostra, responsabili della morte di suo marito, di Falcone e della moglie di questi.
La donna chiese in lacrime ai mafiosi di inginocchiarsi e di chiedere scusa per quello che avevano fatto. Le sue parole commossero l’intera Italia. Una condanna tanto severa, quanto pacifica ed onesta, agli orrori della mafia che, a 28 anni di distanza, continua ad esistere in Sicilia e a diffondersi come un cancro in tutto il mondo.
Rosaria Costa Schifani non avrebbe mai immaginato che nel corso degli anni, a finire in carcere sarebbe stato anche il fratello, Giuseppe Costa, di professione muratore e padre di 3 figli. Come riportato dal settimanale Giallo, secondo le ipotesi degli investigatori della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) anche il fratello di Rosaria sarebbe uno degli uomini di punta di Gaetano Scotto, boss mafioso palermitano.
Scotto appartiene alla famiglia Arenella, una delle organizzazioni criminali più potenti e temute di Palermo. Il ruolo di Giuseppe sarebbe stato quello di riscuotere il pizzo per conto del clan. Rosaria Costa Schifani, una volta saputa la notizia, si è rivolta al fratello con le stesse parole utilizzate nel 1992. La sorella ha invitato Giuseppe ad inginocchiarsi dinanzi a Dio e pentirsi dei suoi misfatti, definendolo Caino.
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