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Il pomodoro cinese preoccupa? Ecco come difendersi

Secondo l’Istat le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina sono aumentate a 64mila tonnellate nel corso del 2015: alcune associazioni di categoria lanciano l’allarme sul made in Italy, ma a ben vedere la soluzione è già a portata di mano.

Lo spauracchio cinese continua ad agitare le acque nel campo dell’agroalimentare. L’ultima notizia arriva dall’elaborazione dei dati dell’Istat, che ha segnalato come nel corso dello scorso anno le importazioni di concentrato di pomodoro dal Paese asiatico siano aumentate in Italia in volume, raggiungendo le 64mila tonnellate, e anche in valore economico, toccando quota 59 milioni di euro. Due associazioni di categoria, Coldiretti e Confagricoltura, sono subito partite all’attacco, denunciando il rischio che tale prodotto possa esser spacciato come “italiano” sui mercati nazionali e soprattutto all’estero, mancando l’obbligo di indicare la provenienza reale sull’etichetta.

Niente paura. In realtà, però, bisogna leggere bene i dati per non lasciarsi fuorviare e, soprattutto, spaventare. L’organizzazione interprofessionale dei soggetti economici che nel Nord Italia si occupano della filiera del pomodoro prodotto e trasformato, ad esempio, mette un freno alle ansie, spiegando che le “importazioni dalla Cina rappresentano una quota ridotta”. Ma anche l’Anicav, la maggiore associazione di rappresentanza delle industrie conserviere, di cui fanno parte alcuni big player del settore come La Fiammante di Napoli, mette fine alle paure sui pomodori: “Passate, polpe e pelati rappresentano il 98,5% dei pomodori che arrivano sulle nostre tavole, ed è tutto prodotto italiano. Il consumo del concentrato è solo l’1,5% di tutti i derivati. Chi afferma il contrario è in malafede”, afferma con forza il presidente Antonio Ferraioli.

Diamo i numeri. L’Anicav ha anche fornito dei dati, decisamente più rassicuranti, sullo stato dell’oro rosso nel nostro Paese. Con un fatturato totale di oltre 3 miliardi di euro e soprattutto oltre 5,4 milioni di tonnellate di pomodoro trasformato nel 2015 (in crescita rispetto ai 4,9 milioni del 2014), l’Italia rappresenta una quota pari al 13% della produzione mondiale e addirittura al 48% all’interno dell’Unione Europea, confermandosi al terzo posto assoluto dietro due giganti come Stati Uniti e Cina, riducendo inoltre il distacco rispetto alla nazione orientale, che lo scorso anno ha visto calare la produzione a 5,6 milioni di tonnellate trasformate. A livello territoriale, la suddivisione della produzione è divisa in modo molto simile tra bacino del Centro Sud (2,72 milioni di tonnellate trasformate) e Distretto del Nord Italia (i restanti 2,68 milioni); inoltre, le aziende associate all’Anicav, che rispettano il rigoroso Disciplinare della Produzione Integrata che tutela la salute del consumatore, hanno lavorato circa la metà di tutto il pomodoro trasformato in Italia.

Consumo sicuro. Certo, a leggere le cifre citate da Confagricoltura e Coldiretti un po’ di preoccupazione nasce, soprattutto se ci focalizziamo solo sulle percentuali: le importazioni di concentrato dalla Cina, dicono le associazioni sulla base dei dati Istat, sono cresciute in volume del 382% rispetto al 2014. Vero, ma questo incremento quasi esponenziale si spiega molto semplicemente con il dato bassissimo riscontrato in quell’anno, quando il concentrato di pomodoro dall’Asia toccò appena quota 14mila tonnellate. La stima attuale di 64mila tonnellate, a ben vedere, è ancora inferiore rispetto al dato del 2012, quando si raggiunsero le 72mila (senza comunicati allarmanti e allarmati), ed è comunque solo una parte del totale importato in Italia (ci sono anche 80mila tonnellate dagli Stati Uniti e oltre 30mila dalla Spagna). Insomma, meglio stare sicuri e, in attesa di eventuali interventi normativi per specificare ancora meglio l’origine dei prodotti, affidarsi a quello che al momento è già sinonimo di garanzia, come le prescrizioni previste per la passata di pomodoro e le sue materie prime. Il direttore di ANICAV Giovanni De Angelis spiega, infatti, che “la legge italiana obbliga a produrla soltanto da pomodoro fresco, che deve essere lavorato entro 24/36 ore dalla raccolta; farlo con prodotti freschi provenienti da altri Paesi, specie dalla lontanissima Cina, sarebbe impossibile per la distanza, oltre che antieconomico per l’impatto sui costi. Inoltre, è obbligatorio indicare l’origine della materia prima utilizzata, precisando la Regione o lo Stato in cui è avvenuta la coltivazione del pomodoro”.

Anna Capuano

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