Batterio potenzialmente molto pericoloso sulla nostra pelle: ecco di cosa si tratta

Batterio pelle

Lo Staphylococcus epidermidis, un batterio presente sull’epidermide del tutto innocuo, può essere causa di infezioni nei pazienti sottoposti ad interventi chirurgici. Queste infezioni post chirurgiche destano molta preoccupazione, in quanto potrebbero risultare resistenti agli antibiotici. E’ quanto emerge da una ricerca condotta dai ricercatori dell’Università di Bath, nel Regno Unito.

Un batterio della pelle normalmente innocuo ma che può diventare fatale

I ricercatori sottolineano che questo batterio presente sulla cute viene spesso trascurato dai medici, in quanto rientra tra i rischi di un intervento chirurgico. Invece dovrebbe essere preso in grande considerazione perché si tratta di un batterio che appartiene alla stessa famiglia dello Staphylococcus aureus, un microrganismo resistente alla meticillina.

Batterio sulla pelle: i risultati della ricerca

I ricercatori hanno prelevato dei campioni dai pazienti che avevano sofferto di infezioni a seguito di interventi chirurgici. Questi campioni sono stati confrontati con quelli dei volontari sani. Al termine di questo confronto sono stati identificati 61 geni che non risultavano nei batteri dei volontari in salute. Questi geni identificati aiuterebbero i batteri a diffondersi nel sangue eludendo la risposta del sistema immunitario e grazie al biofilm li renderebbero perfino resistenti alle infezioni.

Così hanno spiegato i ricercatori:

“Le infezioni post-chirurgiche possono essere incredibilmente gravi e possono essere fatali quindi credo che dovremmo fare di più per ridurre il rischio, indirizzando i pazienti più a rischio a una profilassi più accurata prima di procedere con l’intervento chirurgico”.

Ed ancora:

“Se non facciamo nulla per controllare questo batterio, c’è il rischio che questi geni che causano malattie possano diffondersi maggiormente, con la conseguenza che le infezioni post-operatorie che sono causa di resistenza agli antibiotici potrebbero diventare ancora più comuni”.

Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications.